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L'importanza di Ballon Sur Bitume

Intervista al regista del primo documentario sulla cultura dello street football

L'importanza di Ballon Sur Bitume Intervista al regista del primo documentario sulla cultura dello street football

Ballon sur Bitume è un documentario sulla cultura dello street football girato da YARD – un website di base a Parigi incentrato sulla cultura underground – tra i playground urbani nei sobborghi di Parigi, come Sevran o Argenteuil. Il documentario dura 50 minuti, e tratta ogni aspetto della cultura: dalle skills tecniche dei giocatori, al rap, le relazioni con i brand mainstream e il modo in cui questa cultura influenza le vite delle persone delle periferie di Parigi. Ci sono anche interviste a special guests, giocatori che hanno cominciato su questi playground come Riyad Mahrez (Leicester), Serge Aurier (PSG), Mehdi Benatia (Juventus), Ousmane Dembélé (Borussia Dortmund), Yacine Brahimi (Sporting Lisbona), o rapper come MHD, Niska, Gradur e tre calciatori della nazionale di futsal francese: Andren Gasmi, Landry N'gala, Kevin Ramirez. 

Potete guardare Ballon sur Bitume gratis su Youtube, dove è stato caricato il 17 Novembre ed è stato visto già più di 500 mila volte. È stato diretto da Jesse Agand e Syrine Boulanouar, e noi abbiamo deciso di raggiungere Jesse per una chiacchierata sul suo lavoro.

La cosa che mi ha colpito di più del documentario è la complessità e la completezza della cultura dello street football. Secondo te Jesse quando è iniziato tutto questo? Quand’è che lo street football è diventato un sistema di valori strutturato (musica, moda, attitude) per i ragazzi dei quartieri di periferia?

Non credo sia possa assegnare una data di nascita precisa a questa cultura. Diciamo che si è iniziata a vedere in Francia e in Europa quando gli immigrati hanno iniziato ad arrivare nelle grandi città per vivere e trovare un lavoro e l’unico posto a loro disposizione erano le periferie. Ripensando a quello che vedevo in televisione, sulle riviste o ascoltavo alla radio, i media hanno iniziato a parlare della cultura dello street football dopo la doppietta di Zinedine Zidane nella finale dei Mondiali del ‘98 nello stadio Saint Denis di Parigi. I media adoravano l’espressione: «The Black-Blanc-Beur France», cioè la Francia nera, bianca e araba. Ovviamente i grandi brand sportivi si sono subito resi conto del cambiamento in atto. La gente che viveva in quei quartieri di periferia non era ricca, ma idolatrava come eroi chi riusciva ad uscire dal quartiere e diventare qualcuno – che fosse calciatore, rapper o attore –, al punto da spendere i pochi soldi che avevano pur di assomigliarli; per sentirsi parte di quella storia di successo. Dopo il mondiale, adidas che era lo sponsor di Zidane mise un enorme banner con la foto di Zidane sul tetto di un palazzo a Marsiglia (dove lui è nato). Se dobbiamo trovare un momento, credo sia quello. E non lo intendo in maniera negativa, diciamo che è stata una situazione in cui ci hanno guadagnato un po’ tutti.

 

La cultura dello street football francese – ed europea in generale – mi sembra che sia più simile a quella dei playground di basket americani piuttosto che al calcio delle favelas in Sudamerica. Cose come il trash-talking, la moda e l’odio per la sconfitta sono essenziali nel basket e nello street football europeo, quasi assenti invece in quello sudamericano che sembra più spontaneo, meno complesso da un punto di vista culturale e più concentrato sull’emergere e scappare dal ghetto. Cosa ne pensi?

In entrambi i casi è un tentativo di cambiare la propria condizione. Piuttosto direi che la cultura dello street football europeo è un mix tra quella del basket americana e quella sudamericana. Ci sono tantissimi ragazzi che giocano solo per il piacere di farlo, quando qualcuno gli dice che hanno talento, loro non lo capiscono. Altri sanno per filo e per segno cosa devono e non devono fare per raggiungere i propri obiettivi. Saresti sorpreso di vedere quanti sono i talenti purissimi che giocano nei campi di quartiere solo per il piacere di farlo. Qualcuno penserà che stanno sprecando tempo ed energie, ma per loro giocare con i loro amici, senza regole, è tutto quello che vogliono, niente di più e niente di meno.


Come viene detto nel documentario uno dei motivi dello sviluppo dello street football a Parigi è stata la costruzione fisica dei campetti nei quartieri. Il livello dei giocatori è migliorato esponenzialmente e i campi sono diventati “il cuore del quartiere”, forse l’ultimo luogo di aggregazione pubblico. Anche a Bangkok – seguendo questa filosofia – è stato approvato un progetto per recuperare spazi abbandonati nelle periferie e costruire campi da calcetto irregolari. Credi che l’urbanistica e gli architetti avranno un ruolo sempre più importante nel ridisegnare le periferie cercando di risolvere i problemi sociali?

Capisco cosa intendi, ma devo dire che sarei molto più cauto a riporre tutta queste fiducia solo in impianti sportivi migliori. I problemi delle periferie a Parigi potranno essere risolti partendo con uno sviluppo del sistema educativo e maggiori possibilità di lavoro per la gente che vive in questi quartieri. È quello che cerchiamo di mostrare nel documentario e mi fa piacere ripeterlo: a tutti i ragazzi che amano il calcio, il rap o il basket, vi prego non scordatevi della scuola. La vostra educazione sarà il vostro paracadute se i vostri piani non dovessero andare per il meglio.

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Adrien Gasmi (giocatore della nazionale francese di futsal) gioca con la maglia numero 19, il numero del suo palazzo a Aulnay-sous-Bois; Serge Aurier (terzino del PSG e della nazionale Ivoriana) ha festeggiato il titolo lo scorso anno con una maglietta per Sevran, il suo quartiere. Pensi che la cultura dello street football stia modificando il rapporto tra un giocatore professionista e la sua storia personale? Sembra che oggi i giocatori usciti da quartieri di difficili siano molto più orgogliosi e attaccati alle loro origini rispetto agli anni ‘80 e ‘90, non è così?

Infatti è così! Questa generazione vive senza i complessi delle precedenti. Non cercano di costruire un’immagine per piacere, non cercano di essere perfetti, questa generazione è fedele alle sue origini. Anzi, per giocatori che raggiungono un certo livello è un motivo di orgoglio in più, questo è innegabile. Se chiedi ai bambini dei quartieri a chi si ispirano, nessuno ti dirà Christophe Dugarry o Marcel Dessally. Diranno Riyad Mahrez o Serge Aurier, perché quando li guardi o li ascolti riconosci al volo da dove vengono. Non è che stiano rifiutando la cultura francese, ma puoi sentire che alcune volte nella loro vita si sono sentiti esclusi dalla Francia. Quindi il ghetto è il loro paese, sono fieri del posto da dove vengono.

 
Nel documentario si dice che i migliori giocatori di strada sono a Parigi, ma anche in Belgio e in Olanda lo street football è cresciuto tantissimo grazie ai molti immigrati. In che modo una l’incontro di persone da diversi paesi del mondo influenza il modo di giocare e di conseguenza anche la cultura del gioco?

Questo melting pot ha reso la cultura street quello che è diventata. Ho avuto la fortuna di girare una buona parte del mondo, e in tutte le culture che ho visto ho notato che è sempre meglio aggiungere qualcosa, piuttosto che liberarsene. Per quanto riguarda il gioco, penso che in Francia sia iniziato tutto una cinquantina di anni fa. I francesi che vivevano nelle periferie si sono ritrovati dall’oggi al domani dei vicini di casa portoghesi o di qualche altro paese. I bambini magari non parlavano la stessa lingua, ma indovina? Il calcio è un linguaggio universale. Quindi hanno iniziato a giocare insieme, insegandosi a vicenda i trucchi che avevano imparato a casa, in Algeria, Senegal o chissà dove.

 

Parliamo un po’ di moda, un altro dei pilastri dello street football. Pensi che i grandi brand come adidas e Nike stanno rubando un po’ lo stile dello street football? Un esempio di cui si parla nel documentario sono i pantaloni delle tute, che stanno diventando sempre più stretti.

Ovviamente mentirei se dicessi il contrario. Penso che i grandi brand abbiano visto il potenziale di questa cultura prima di ogni altro. Sarebbero stati stupidi a non capitalizzarlo, e non li biasimo per averlo fatto. Sanno quali sono i nostri gusti, e noi sappiamo che faranno qualcosa che ci piacerà. È - come dicevo prima - una situazione in cui ci guadagnano tutti.

Il rap francese è cresciuto moltissimo negli ultimi anni, anche grazie alla cultura dello street football da cui ha rubato temi e stile - penso a PNL, ad esempio. In che modo pensi che questo abbia alimentato e influenzato la cultura dello street football?

Il rap francese sta crescendo a livello internazionale recentemente, ma è sempre stato il secondo più venduto dopo quello americano per tantissimo tempo, forse proprio dall’inizio della cultura dello street football. A parlare di giocatori prima di PNL, c’era Doc Gyneco negli anni ‘90, per farti capire quanto è stretto il legame tra rap e street football. Quando mezzo mondo guarda Dybala o Pogba che debbano, molti non sanno neanche di cosa si tratta. Viene dal mondo Hip Hop. Uguale per Antoine Griezmann: ho sentito un sacco di spiegazioni idiote e sbagliate sulle sue esultanze… Non hai mai sentito Hotline Bling di Drake?  Ci sono moltissimi altri esempi di come l’hip hop ha influenzato il mondo, molti più di quello che molti immaginano.
La mia domanda sarebbe piuttosto: credi che la PNL stia prendendo a prestito elementi dalla cultura football, o è vero l’inverso? Io credo di sapere la risposta ahaha.

 

La cosa che più mi affascina degli sport giocati per strada sono le leggende di giocatori incredibili mai sbocciati, ragazzini terribili che hanno preferito un’altra vita allo sport nonostante il loro dono. Fino a dieci anni fa tutte queste storie vivevano di passaparola o qualche sporadica telecamera che entrava nel ghetto, mentre oggi per raccontare una storia basta un video su Instagram o su snapchat. Come pensi che le nuove tecnologie influenzi questo aspetto della cultura di strada?

Non abbiamo più bisogno di aspettare che la televisione si accorga di noi: Twitter, Instagram, Facebook e Snapchat sono i nostri media. Siamo la generazione di internet, tutto è più facile e più veloce. Ma comunque questo non cambia il fatto che le storie continuano a viaggiare con il passaparola. Tutti adorano raccontare storie, giocatori leggendari e condividere queste cose, è qualcosa che dobbiamo preservare per continuare a sognare. Anche se è vero che oggi per un ragazzino è più facile filmarsi e mandare il video a uno scout o un club.

 

Tra tutti i giocatori parigini che dalla strada sono arrivati tra i professionisti, qual è il tuo preferito e quale credi abbia uno stile di gioco più street?

Il mio preferito è sicuramente Hatem Ben Arfa, fin dal documentario «À la Clairefontaine». Avevo la sua età e l’ho visto evolversi e arrivare a giocare al PSG. Lui ce l’ha fatta, di sicuro. Sempre Hatem ha questo stile di gioco molto street, lo vedi improvvisare molto in campo, quando tocca la palla e deve prendere decisioni in frazioni di secondo. Alcune persone dicono sia svogliato, ma non si tratta di questo, si tratta di conoscere il proprio talento e le proprie qualità. Tanti calciatori si allenano duramente ma sviluppano soltanto delle ottime qualità. Hatem no, Hatem ha un dono, qualcosa che non può essere insegnato nelle accademie e che si sviluppa solo da una parte: “sur le bitume”. Quanto al futuro: credo che Kylian Mbappé sia “the next big thing”. Dicono assomigli a Thierry Henry e che ha un sacco di potenziale. Io sono d’accordo: il modo in cui tocca la palla è pura poesia.