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Essere diversi: la storia di Gianluigi Lentini

Oggi compie gli anni uno dei più grandi equivoci del calcio italiano

Essere diversi: la storia di Gianluigi Lentini Oggi compie gli anni uno dei più grandi equivoci del calcio italiano

Nei primi anni ’90 non era certo la regola commentare in maniera ossessiva il look di un giocatore. L’attenzione verso quell’aspetto di un calciatore è qualcosa che arriva solo dopo, quando il ciclone Beckham si abbatte sul mondo del calcio e ne cambia per sempre le percezioni. C’erano ovviamente delle eccezioni, rappresentate da calciatori iconici ed estremamente brillanti, per un motivo o per un altro. Si commentava il look di George Best, certo, o quello di Johan Cruyff, forse tra i primi calciatori di livello ad influenzare in maniera consapevole moda e lifestyle dei propri tifosi.

Facevano quindi in un certo senso impressione le cronache dei giornali che descrivevano Gianluigi Lentini, in procinto di diventare il giocatore più pagato al mondo. Ci si soffermava in maniera morbosa su quello che Lentini indossava, sui suoi orecchini, simbolo – pareva – di una malcelata strafottenza, di chi ha avuto tutto e subito, e lo va dilapidando in abbigliamento costoso e auto veloci. Le auto, un altro dei capitoli attorno a cui è girata la carriera di Lentini, il primo calciatore moderno. 

Di ritorno da un triangolare estivo a Genova infatti, e diretto da quella che allora era la sua amante, nonché moglie di Totò Schillaci, Lentini si schianta con la sua Porsche gialla, sopravvivendo per miracolo.

Lentini insomma, sembra essere l’epitome del calciatore sbagliato, un moderno Balotelli, raccontato in salsa anni 90s, quando il posto dei social network era preso dai rotocalchi e un articolo di giornale poteva segnarti molto più che oggi, per l’impossibilità del contraddittorio e per la lunghezza dei tempi di stampa. Lentini infatti non era il cattivo ragazzo che tutti cercavano di disegnare, ma una persona venuta dalla provincia che aveva conosciuto le pubblcità, una esagerata ricchezza e una sproporzionata responsabilità mediatica, aggravata dalla notizia del pagamento in nero di parte del suo trasferimento dal Torino al Milan.

E poi sì, a Lentini piaceva la moda, si diceva che avrebbe voluto scriverne un libro. Lo esternava vestendosi in maniera diversa dagli altri, pettinandosi in maniera diversa dagli altri. Un ragazzo sui generis, prima vittima di un sistema calcio che accetta a fatica i diversi, a meno che non si chiamino Maradona, Best o Cruyff. Quello che spesso chiamiamo come “ciclone-Beckham” non è altro che un passaggio graduale alla visione dei calciatori come parte attiva del mondo dello spettacolo.

Lentini forse non era pronto, o forse non lo eravamo noi, per diventare il primo calciatore mediatico della storia delle Serie A. È andato a sbattere contro quella Porsche gialla, contro il coma, contro un fisico che non ha più reagito a dovere. E che ci ha consegnato solo un ricordo nostalgico di un campione che poteva essere e non è stato.