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Father and Son

Football legacy

Father and Son  Football legacy

Il calcio, a volte, evoca ricordi infantili, ancestrali. Io da piccolo, certe domeniche, scendevo in strada, nel mio quartiere, e utilizzavo le saracinesche dei negozi come porte in cui segnare il calcio di rigore. O il tiro al volo, raramente azzardavo una rovesciata.

In quelle occasioni il rivale era mio padre. Si tirava con l’unico scopo di fargli goal, di dimostrare a se stessi che si poteva essere addirittura più bravi di chi t’aveva messo al mondo. E io, più bravo di mio padre, lo ero per davvero.
Quella di giocare a pallone (ma vale un po’ per tutti gli sport di squadra) col proprio papà probabilmente è una delle più antiche tradizioni della società moderna, quella basata sul tempo libero e la valorizzazione dell' individuo. Credo di aver segnato il primo goal a mio padre, che faceva il portiere, e credo lui sia stato anche il primo adulto che abbia visto giocare dal vivo.

Padri e figli che si tramandano la passione per il calcio fanno parte di un immaginario prettamente familiare? No, per niente. I celebri “figli d’arte” altro non sono che eredi di campioni (e meno campioni), che provano (con più o meno successo) a seguire le orme dei propri vecchi.

Alcune volte con grande esito, come nei casi di Yuri Djorkaeff, abbacinante talento francese, figlio di papà Sean, a sua volta nazionale transalpino.

Altre volte va peggio, come successo a Diego Maradona Jr, figlio del Dio del calcio, e transitato senza particolari lodi dalle parti di Cervia prima e della Nazionale di beach soccer poi.

L'ultimo esempio è quello di Giovanni Simeone, attaccante e figlio del celebre Pablo Simeone, "El Cholo", prima grande giocatore poi grande allenatore. Giovanni - ma non chiamatelo Cholito - si sta imponendo nel Genoa a forza di gol, non ultimi i due in meno di un tempo rifilati alla Juventus. 

Abbiamo scelto 5 casi tra i tanti a disposizione, che raccontano 5 storie diverse tra loro. Un piccolo spiraglio nel complicato mondo delle relazioni padre-figlio applicate al calcio. 
 

Johan e Jordi, Cruyff
Essere il figlio di uno che ha cambiato la storia dello sport (ma il concetto può essere esteso un po’ a tutto) in cui tu stesso ti stai cimentando, non dev’essere la cosa più semplice del mondo. E se succede sotto l’occhio di milioni di telecamere probabilmente le difficoltà finiscono per ampliarsi. Eppure riesce a difendersi bene Jordi, figlio del leggendario Johan e centrocampista dai piedi discreti. Quasi 20 di carriera tra i professionisti, grazie agli esordi da minorenne nel Barcellona di papà Johan, una Premier League vinta non proprio da protagonista a Manchester e un Europeo giocato nel 1996. Anche se Ferguson nella sua ultima biografia ha dichiarato che il suo acquisto fu “un errore di giudizio”, sarebbe potuta andare anche meglio a dir il vero, senza quel ginocchio ballerino. Raggiungere i livelli di papà no, quello è stato impossibile per troppi prima e dopo di lui. Guadagnarsi il suo rispetto invece è stato un obiettivo ampiamente raggiunto. 

 

Cesare e Paolo, Maldini
Quando pronunci le parole “padre, figlio, calcio” in Italia la risposta del tuo interlocutore sarà, nel 90% dei casi, Maldini. La più regale delle dinastie calcistiche nasce a Milano il 26 giugno del 1968, ma diventerà ufficiale sedici anni più tardi, quando Paolo fa il suo esordio con quella maglia del Milan che non smetterà più. Tra le prime cose che si ricordano del rapporto tra Paolo e Cesare, c’è la somiglianza in campo, lì dove il piccolo Paolo sembrava l’esaltazione del concetto di eleganza rappresentato dal padre. E poi la correttezza, e quell’attaccamento ai colori rossoneri, solo in parte rovinato dal comportamento assurdo della curva milanista nel giorno dell’addio dello storico capitano. Ma il momento più alto (e più amaro) resterà probabilmente il Mondiale francese del 1998, quando la famiglia Maldini (con Cesare in panchina e Paolo con la fascia di capitano al braccio) guida una delle nazionali italiane più forti di sempre fino ai quarti di finale, dove il sogno di schianta sulla traversa di Gigi Di Biagio. Sarebbe potuto essere magico. 

Zinedine e Enzo e Luca, Zidane

Quel Mondiale segnò invece la consacrazione definitiva della classe demoniaca e cristallina di Zinedine Zidane, uno dei giocatori più puri della storia del calcio. Ritiratosi sembra star imparando anche il lavoro del dirigente e dell’allenatore. Proprio da allenatore si è trovato nella situazione di provar a far decollare la carriera di suo figlio Enzo, che in Spagna conoscono come Enzo Fernandez (il cognome della mamma), ha 20 anni e l’anno scorso ha esordio con il Castilla, la squadra B del Real Madrid. Addosso la numero 10, e da quest’anno la fascia di capitano sul braccio, Enzo ha provocato l’alzata di qualche sopracciglio a causa di prestazioni non sempre brillanti e qualche sibilo di nepotismo per papà Zinedine. Chi invece non sembra aver bisogno dell’influenza paterna per arrivare ad altissimi livelli è l’altro figlio, Luca. Portiere titolare della Francia Under 17, protagonista dell’ultimo Europeo di categoria, riesce spesso ad essere protagonista, nel bene (parando tre rigori nella scorsa semifinale contro il Belgio) e nel male (con un rigore sbagliato tentando di emulare papà con il cucchiaio, e con una testata nell’ultimo derby contro l’Atletico). Anche lui gioca nel Real, e sembra assomigliare al padre. Se non per ruolo, almeno per carattere.

Arnor e Eidur, Gudjohnsen
Quella di Eidur Gudjohnsen e di papà Arnor è stata forse la più bella storia calcistica nell’universo delle relazioni padri figli. Era il 24 aprile del 1996, e la nazionale islandese giocava, e vinceva, contro l’Estonia. Arnor è uno dei più forti giocatori della storia della terra dei ghiacci ha 34 anni, un ottima carriera a livello di club, spesa soprattutto in Belgio. Ad un certo punto nella gara però, viene sostituito da un altro attaccante di 17. Più alto di lui, e che, con il senno di poi, diventerà forse a sua volta il più forte (e soprattutto vincente) calciatore islandese di sempre. Quel diciassettenne era Eidur Gudjohnsen, e quel momento, quell’abbraccio sulla linea del fallo laterale è, ad oggi, l’esaltazione massima del rapporto genitoriale applicato al pallone. 

Bruno e Daniele, Conti
Quella di Daniele Conti è una storia circolare. Parte da Roma, lì dove papà Bruno è diventato grande, uno dei più grandi di sempre, nel suo ruolo. Arriva ad esordire addirittura in prima squadra, Daniele, segna un gol, e poi viene dato in prestito al Cagliari. Ne diventa poi il capitano e si specializza nel gol su calcio di punizione, diventando il terzo calciatore in attività per numero di realizzazioni nella specialità. Particolarità: la squadra a cui Daniele ha segnato di più è proprio la Roma di papà Bruno. Tanto che nella Capitale si comincia a parlare di Maledizione Conti, e se il dirigente romanista resta nei cuori di tutti i tifosi, la frattura tra Daniele e i suoi ex-tifosi è totale. Daniele è infatti pieno d’orgoglio, e desideroso di rivincita verso chi non ha creduto in lui, esiliandolo in Sardegna. Storie di orgoglio, di rivincite, cose che spesso succedono, tra padri e figli.