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Un'analisi del caso Gucci - Atene

La Grecia rifiuta di svendere le proprie bellezze, l'opinione pubblica si divide a metà

Un'analisi del caso Gucci - Atene La Grecia rifiuta di svendere le proprie bellezze, l'opinione pubblica si divide a metà

Ultimamente le grandi aziende del lusso sembrano voler fare a gara per aggiudicarsi prestigiose location storiche. La moneta di scambio sono i fondi per il restauro dei suddetti monumenti, di cui spesso le amministrazioni locali hanno un disperato bisogno. Abbiamo visto in pochi anni Della Valle restaurare il Colosseo in cambio dell'affissione di alcuni banner pubblicitari delle sue aziende, Fendi ha invece optato per Fontana di Trevi - dove poi ha allestito uno show dai toni fiabeschi e surreali - per far sfilare la sua Haute Couture e il Palazzo della Civiltà Italiana in cui ha invece insediato il proprio quartier generale; in fine c'è Bulgari che ha riqualificato piazza di Spagna, restituendo alla scalinata e alla Barcaccia di Bernini una dignità che sembrava da tempo sfumata - aggiudicandosi in cambio una delle locations più suggestive della Città  Eterna per festeggiare i suoi 150 anni con un esclusivo concerto ed uno spettacolo pirotecnico.


L'opinione pubblica si è letteralmente spaccata a metà nel giudicare queste iniziative. C'è chi ha gridato alla speculazione sulla storia e sui monumenti a fini pubblicitari e di lucro, chi ha contestato l'utilizzo di monumenti pubblici per eventi privati, considerandolo come una sottrazione di un bene pubblico alla collettività e chi invece ci ha visto in occasione di riqualificazione una chance di accattivarsi prestigio e attenzioni internazionali per una città come Roma, costretta spesso ai margini della mondanità. Quello che va, a mio avviso, assolutamente sottolineato è come, in tutto questi casi, si tratti di aziende ed imprenditori nostrani che hanno deciso di investire risorse sul territorio Italiano, al fine di preservare il patrimonio storico-artistico del proprio paese. Anche se le modalità e i termini possono destare polemiche - anche in parte giustificate - quanto detto prima è un dato di fatto. Questa premessa è necessaria per analizzare e contestualizzare il caso Gucci, che in questi giorni ha improvvisamente riacceso il dibattito attorno a brand di lusso e monumenti.

Secondo le fonti il Brand avrebbe offerto ad Atene 2 milioni di euro, in cambio della concessione dell'Acropoli da parte della città, per uno show di 900 secondi. A rendere la notizia virale è stato il secco rifiuto del governo di Atene che, dopo aver giudicato la proposta inappropriata ad un luogo di enorme valore storico come il Partenone, ha risposto con un secco "NO". Sebbene si può essere certi che la proposta di Gucci sia stata formulata con le migliori intenzioni, cercando semplicemente un modo particolarmente teatrale di presentare la propria collezione - sappiamo tutti quanto la spettacolarità e la capacità di generare stupore siano vitali per marketing dei brand di lusso. D'altro canto le ragioni del rifiuto categorico da parte di Atene sono condivise da molti. Per alcune personalità, la discriminante giace nel fatto che, in questo caso, non si è trattato di un brand che decide di investire risorse sul proprio territorio che in cambio di un ritorno pubblicitario ne salvaguarda le bellezze. Il fatto che il denaro offerto ad Atene fosse una cifra considerevole in un momento di difficoltà per diverse nazioni, potrebbe aver fatto credere ai più di assistere all'offerta di denaro da parte di un'azienda straniera ad una città e ad un paese che sta notoriamente affrontando un periodo di forti difficoltà ed incertezze economico-finanziarie, affinché "svenda" la propria storia. Beh, non è andata proprio così.

Certamente, nonostante la crisi economica degli ultimi anni abbia sconvolto la Grecia, portandosi via il 25% del PIL del paese, i greci hanno sempre dimostrato grande dignità e dato molto valore a quest'ultima. Lo si può evincere dalle decisioni prese in materia politica e finanziaria e dalla fermezza dimostrata dal governo e dal popolo greco in questi anni. Non sorprende dunque che l'offerta di Gucci sia stata recepita dal governo del paese come un'offesa alla loro storia e alla loro dignità, come un tentativo di comprare i monumenti e la cultura che rappresentano l'identità nazionale. Accettare sarebbe significato per Atene e per la Grecia cedere metaforicamente a quel tipo di ricatto che hanno sempre rifiutato per orgoglio, anche a discapito delle conseguenze. Un paese in difficoltà infatti sopravvive solamente se in grado di stringersi attorno ai propri valori fondamentali, riconoscendoli come sacri e inviolabili. Quello che però non è stato sottolineato è che Gucci si era offerto di pagare con i 2 milioni non solo i diritti per la messa in onda della sfilata ma che la loro intenzione fosse quella, in realtà, di sviluppare un contratto a lungo termine con la Grecia volto al restauro di alcuni dei lori beni storici più celebri e più bisognosi di tutela.
Quello tra Gucci e Atene si è trasformato in poco tempo in un vero e proprio caso mediatico che ha lasciato spazio a moltissime speculazioni di genere. Se per Fendi e Bulgari l'intervento sul proprio territorio di origine può essere consderato acettabile, perchè la proposta di Gucci verso un paese notoriamente in difficoltà ha suscitato tutto questo scandalo? Forse perchè, così come un'azienda di successo si preoccupa della propria immagine e di come essa viene percepita dall'esterno, allo stesso modo fa una nazione